Il 9 Ottobre 2004 moriva a Parigi Jacques Derrida, uno degli esponenti più prestigiosi della filosofia francese, padre del "decostruzionismo".
Ecco una selezione di titoli dal nostro catalogo dedicati al grande filosofo francese.
Spettri di Marx incomincia con la critica di un nuovo dogmatismo, di un'intolleranza: "Lo sanno tutti, sappiatelo bene, il marxismo è morto, e Marx con lui, non c'è più motivo di dubitarne". Un "ordine del mondo" tenta di stabilizzare un'egemonia fragile grazie all'evidenza di un "atto di morte". Il discorso maniacale che prende il sopravvento ha la forma giubilatoria e oscena che Freud attribuisce alla fase trionfante nel nuovo lutto. (Refrain: "il cadavere si decompone in un posto sicuro, che non ritorni più, viva il capitale, viva il mercato, sopravviva il liberalismo economico!"). Esorcismo e scongiura. Una degenerazione tenta di neutralizzare la necessità spettrale, ma anche l'avvenire di "uno" "spirito" del marxismo. "Uno" "spirito": l'ipotesi di questo saggio è che ce n'è più d'uno. La responsabilità finita dell'erede è votata alla scelta. Riafferma un possibile, e non un altro. Ma un simile discernimento critico come si apporta all'esigenza ipercritica - o piuttosto decostruttiva - della responsabilità?
''Non c'è salvezza sulla terra, tanto che si possono perdonare i carnefici.'' Commentando questi versi di Paul Éluard, Derrida, il grande filosofo recentemente scomparso, rompe con il senso comune che non sottrae mai il perdono all'orizzonte della riconciliazione, alla speranza della salvezza attraverso il pentimento e l'espiazione. Il perdono diventa degno di questo nome quando non si pone nel dominio dello scambio, quando si rompe la simmetria tra colui che chiede perdono e colui che lo concede. Così, sostiene Derrida, si può perdonare solo l'imperdonabile, senza che si cancelli l'oggetto di ciò per cui deve avvenire il perdono.
UNIVERSITA' SENZA CONDIZIONE (con Pier Aldo Rovatti)
Un singolare volume sul destino delle nostre università in un momento in cui l'idea di università appare snaturata. Il nucleo insopprimibile di questa idea è per Derrida l'"incondizionatezza", la libertà intrinseca alla professione dell'insegnare. Rovatti è d'accordo ma a condizione di guardare con attenzione a quel che accade in casa nostra, dove il fantasma dell'azienda sembra restringere gli spazi e togliere slancio all'università stessa.
Pier Aldo Rovatti è direttore del Dipartimento di filosofia dell'Università di Trieste e della rivista aut aut. Per Cortina ha pubblicato L'esercizio del silenzio (1992), Per gioco (con A. Dal Lago, 1993) e Il paiolo bucato (1998).
Esistono “stati canaglia”? Se la ragione del più forte è sempre la migliore, se l’abuso di potere è costitutivo della sovranità stessa, allora esistono solo stati canaglia: dove c’è sovranità, anche democratica, c’è uno stato canaglia, e ogni democrazia è assillata dal fantasma di una canagliocrazia. Muovendo dal problema della sovranità, dal ruolo attuale degli Stati Uniti e dagli sconvolgimenti causati dalla globalizzazione, Jacques Derrida si chiede cosa diventino i concetti di “ragione” e di “democrazia”, come anche quelli di “politica”, di “guerra” e di “terrorismo”, allorché il vecchio mito della sovranità statale perde la propria credibilità.
Nella Storia della follia - osserva Jacques Derrida - Foucault aveva scritto che bisogna "essere giusti con Freud". Quali sono le implicazioni di questa affermazione? Cosa dovremmo restituire a Freud e perché "bisogna" farlo? In un saggio di straordinaria tensione filosofica, Derrida tenta una risposta: un inizio di risposta, o l'inizio di un dialogo ormai mancato (perché Foucault non può più replicare), in cui si disegna il luogo doppio e paradossale della psicoanalisi, una specie di "cerniera" o di porta che apre e chiude, di pendolo. Il luogo di una logica diversa in cui anche Foucault non ha potuto fare a meno di installarsi. Ma della quale noi stessi abbiamo bisogno perché è anche, necessariamente, il nostro luogo. Sullo sfondo, inaggirabile, ricompare il problema del potere, ora però associato alla questione della morte, in quella "perpetua spirale" del potere e del piacere nella quale Freud ha osato una volta affondare lo sguardo.
Peter Sloterdijk
DERRIDA EGIZIO
Che cosa ha a che vedere Derrida con l’Egitto? In questo scritto breve e denso, Sloterdijk, uno dei più importanti innovatori del pensiero contemporaneo, attraversa l’opera del filosofo francese mediante una serie di confronti con altri autori che ne moltiplicano i piani di lettura e di interpretazione. Ne esce un’immagine di Derrida inconsueta, poco compiacente ma problematica e aperta, delineata in uno stile filosofico talmente dissonante da quello derridiano da rivelarsi paradossalmente in sintonia con esso.
Peter Sloterdijk, filosofo e saggista, insegna Filosofia alla Scuola Superiore di Arti Applicate di Karlsruhe. Della sua ricca produzione saggistica ricordiamo Critica della ragion cinica (Garzanti 1992) e L’ultima sfera (Carocci 2005).
ECOGRAFIE DELLA TELEVISIONE (con Bernard Stiegler)
Sul finire dell'Ottocento Sir William Crookes, inventore del tubo catodico, era convinto che attraverso di esso ci sarebbero pervenute le immagini dei "nostri cari trapassati". Oggi il sistema dei media rivela pienamente la propria natura spettrale: elude ogni vincolo materiale, ogni localizzazione nello spazio e nel tempo, ogni connotazione geografica e territoriale. E' l'intrusione, desiderata e temuta, dell'ospite inatteso, del "mondiale", di un altro linguaggio e di un altro ritmo. Ma, nell'annullare ogni distanza, l'"espropriazione" televisiva innesca la reazione di un localismo esasperato. Lo sviluppo dei media ha potentemente contribuito alla "democratizzazione" su scala globale, spazzando via gli ultimi resti dei vecchi totalitarismi; ma rischiamo di perdere le nuove sfide, perché la stessa fede neoliberale nel mercato non riesce più a controllare le potenze che ha scatenato. Di fronte a una televisione che sembra offrirci a poco prezzo un mondo senza frontiere, siamo come l'apprendista stregone: la via è aperta per il revival delle etnie, il nazionalismo delle minoranze, l'integralismo religioso. Questa regressione accompagna, inesorabile come un'ombra, l'accelerazione del processo tecnologico, costringendoci a ripensare l'universalità della comunicazione e la natura della tecnica.
Il problema dell’identità culturale è affrontato in questo libro attraverso la questione della lingua, e della lingua materna: nella sua unicità e insostituibilità, essa non ci appartiene mai. In una sorta di autobiografia intellettuale, Derrida racconta il rapporto con la propria lingua, il francese, come lingua dell’altro, prendendo le distanze sia dallo sradicamento e dalla perdita di memoria legati all’idea di una lingua globale sia dalla follia della difesa a oltranza delle lingue locali come salvaguardia dell’identità pura di un popolo. Le lingue sono piuttosto il luogo di un’apertura all’altro che impedisce a ogni discorso di farsi totalitario.
Derrida si confronta faccia a faccia con Freud e con il suo testo più problematico, Al di là del principio di piacere, in cui Freud mette radicalmente in questione la psicoanalisi stessa come speculazione, pensiero e scrittura. Si capisce bene da questo libro che il confronto con Freud non è uno dei tanti praticati da Derrida, ma è uno scambio per lui decisivo, che riguarda la sua intera filosofia. Speculare - Su ''Freud'' è uno dei rari esempi di incontro tra filosofia e psicoanalisi nell'orizzonte contemporaneo: un incontro senza remore né pregiudizi, dunque un incontro vero. Non si tratta solo di un libro unico nella pur vasta produzione del filosofo francese, ma anche di un libro eccezionalmente importante per capire come filosofia e psicoanalisi possano lavorare assieme.
"... il detto che Aristotele aveva molto familiare: 'o miei amici, non c'è nessun amico'"
(Montaigne, Dell'amicizia)
Questa sentenza attribuita ad Aristotele, chi non l'ha citata? Ecco che, una volta modulata o orchestrata, fin nella sua grammatica, da un concerto di interpreti sonnambuli, vigili e automatici, ecco che attraversa sognante, recitazione salmodiata di un immenso brusio, il pieno giorno della nostra memoria: da Montaigne a Kant, per esempio, da Nietzsche a Blanchot, sì, Blanchot, l'amico di Bataille e dei pensatori di questo tempo, il pensatore dell'Amicizia. Ma l'avvenire di "questo detto che Aristotele aveva molto familiare" ci viene ancora addosso. Già qui, è come se non fosse ancora arrivato, custodendo, in una delle sue pieghe, una promessa di democrazia ancora impensata, ancora impossibile, sempre a venire: la promessa, davvero.
Questo libro permette al lettore italiano di entrare nel cuore del lavoro filosofico di Jacques Derrida. Qui il tema è il dono, e lo strano rapporto che il dono e il donare hanno con il tempo. Naturalmente Derrida tiene sott'occhio il famoso saggio di Marcel Mauss, e anche le ricerche linguistiche di Emile Benveniste, ma poi gran parte del libro è un dialogo che l'autore intrattiene con un racconto di Baudelaire intitolato La moneta falsa. Il tema non interessa solo il mondo della filosofia in senso stretto ma lancia messaggi molte direzioni. Derrida ci invita a pensare un paradosso: se donare è semplicemente uno scambio, qualcosa di circolare che ha un'andata e un ritorno, come di solito pensiamo che sia, allora il dono stesso scompare, non è più un dono. Il dono resta solo quando c'è un'eccedenza, quando paradossalmente si sottrae al cerchio dello scambio e del tempo. Qual è allora il "tempo" che si addice al donare? Se riflettiamo sulla natura più propria del dono, che ne è del tempo, come lo intendiamo di solito, per esempio quando chiamiamo un dono con il nome di "presente" e diciamo "fare un presente"? Come se - suggerisce Derrida - il dono fosse votato a una "irresponsabilità", poiché nel momento stesso in cui lo dichiariamo, o solo ne mostriamo l'intenzione, esso è già sparito nello scambio. Ma il dono, appunto, non è mai solo una "moneta", semmai potrebbe essere una "moneta falsa".
Da molto tempo si auspica un confronto tra filosofi analitici e continentali, quasi che si trattasse di rispondere a un'esigenza religiosa di ecumenismo o un bisogno etnologico di dialogo tra le culture. Si dice anche che il confronto avverrebbe tra due concetti di filosofia "kantiano" il primo (cioè legato a una nozione scientifica della filosofia), "hegeliano" (cioè dedito alla "decostruzione" letteraria degli acquisti conoscitivi conseguiti dai "kantiani"). I tre saggi di Derrida che compongono questo volume, oltre a fornire una penetrante lettura del problema degli atti linguistici in Austin e dei limiti del ripetuto appello all'esigenza puramente formale di un dialogo fra tradizioni filosofiche, ci propongono una visione non banale del problema: la decostruzione non consiste nel disfare le verità positivamente acquisite dalla filosofia come scienza, ma nell'approfondire - secondo un'esigenza che è ancora anzitutto scientifica - l'analisi di ciò che si intende con verità, filosofia come scienza rigorosa, lavoro del concetto. La decostruzione, allora, non è la presa d'atto di una presunta bancarotta della filosofia, ma il rinnovato appello a una filosofia che può apparire scomoda solo perché mira al conseguimento di criteri non convenzionali di verità.